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Uno sguardo alla pet therapy

9 Aprile 2021 Uno sguardo alla pet therapy

I lockdown dell’ultimo anno hanno dato la stura a tristezza e nevrosi diffuse, specie nei soggetti fragili e nei più giovani, che hanno dovuto adottare nuovi comportamenti e si sono visti ridurre drasticamente le occasioni di socialità. In casi come questi un percorso di pet therapy può aiutare a gestire lo stress.

 

Contro lo stress da lockdown, contro gli effetti della pandemia, contro le stringenti norme anti-CoViD a scuola, per i più piccoli a volte “Basta una Zampa”. È questo infatti il nome di un progetto della ONLUS “For A Smile”, che tra il 2020 e il 2021 ha coinvolto gli istituti scolastici di Milano in primis per poi allargarsi a tante altre città italiane poi.
Il fine? Alleviare tensioni e tristezze dei più piccoli, derivanti da quella che ormai viene comunemente definita “CoViD fatigue”, mediante l’introduzione in classe di un branco di allegri cagnolini. Un incontro di un’ora alla settimana perché i ragazzi, scombussolati dall’improvvisa menomazione della propria socialità, potessero familiarizzare con i piccoli quattrozampe e trarne giovamento morale e psicologico, con una particolare attenzione a disabili e personalità più fragili.

 

GALEOTTO FU IL COCKER

Ma quali sono i benefici dell’incontro uomo-animale? Con cani, gatti e cavalli noi “bipedi” abbiamo sempre avuto un rapporto privilegiato, ed è addirittura del 1792 l’adozione in un ospedale psichiatrico inglese degli animali da cortile per recuperare l’autocontrollo. Ma quale fosse l’utilità della zooterapia lo scoprì in modo del tutto casuale lo psichiatra Boris Levinson nel 1953, quando i genitori di un bimbo autistico che il medico aveva in cura arrivarono in anticipo al consueto appuntamento per la seduta del piccolo. Jingles, il cocker di Levinson, si ritrovò quindi nella sala d’aspetto insieme al bimbo: quando cominciò a leccargli la mano, però, il bambino ricambiò l’affetto senza riserve e smise tutte le difese che normalmente aveva con il terapeuta.

Questo portò Levinson a indagare sulla funzione dei “pet”, o animali di compagnia, nei confronti di persone con problemi psichiatrici: banalizzando, potremmo riassumere i suoi risultati con il classico motto “un animale non giudica”, ed è questa percezione paritaria che consente al paziente, magari più ritroso ad aprirsi con medici e parenti, di lasciarsi andare e collaborare. Le ricerche di Levinson fecero da apripista e posero le basi per una disciplina che oggi è classificata come vero e proprio intervento terapico, seppur sussidiario (da usare dunque come rinforzo rispetto alle terapie tradizionali).

 

NON SOLO CANI E GATTI

Per la pet therapy non si usano solo cani e gatti: anche animali docili e intelligenti come asini e cavalli si sono dimostrati perfetti co-terapeuti per la cura di soggetti fragili a livello psicologico o motorio, visto che consentono ai pazienti di ricavarsi un ruolo attivo mediante la cura dell’animale e “portano” la terapia all’aria aperta, lontano da cliniche e ospedali. L’obiettivo rimane comunque lo stesso: migliorare qualità di vita e stato di salute dei pazienti attraverso gesti semplici e modalità ancestrali di rapportarsi – il gioco, le coccole, l’abbraccio – che gradualmente riescono a smuovere persino le reticenze più imponenti.
Anche perché, come riassumeva l’autore dei Peanuts Charles Schulz, “la felicità è un cucciolo caldo”.

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